top of page
Cerca

Impatto ambientale delle industrie zootecniche

Secondo le ultime stime delle Nazioni Unite (2017), nel 2050 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di individui e nel 2100 arriverà a 11 miliardi. Questo comporta, già da subito, un aumento della produzione alimentare in termini di proteine necessarie per l’aumentata richiesta di cibo. Solo per la componente relativa agli alimenti di origine animale, questo aumento è stato stimato tra il 70% e il 100% delle proteine in più da produrre, da oggi al 2050 (FAO, 2009). Il quadro è aggravato dall’attuale presenza di proteine animali nell’alimentazione, in quantitativi superiori a quelli indicati dagli organismi internazionali (EFSA, WCRF, etc.).




Come vedremo, l’attuale produzione di alimenti di origine animale comporta impatti notevoli sull’ambiente e ancora di più ne comporterà vista la richiesta di aumento di produzione di cibo. A questo punto è legittimo interrogarsi sulle opzioni alternative possibili, in un mondo in cui massima attenzione deve essere prestata alla pressione sulle attuali condizioni ambientali.


Ovviamente non tutte le specie animali sono ugualmente responsabili dell’impatto ambientale, posto che da un punto di vista fisiologico/biochimico parliamo di specie contraddistinte da meccanismi digestivi completamente diversi.

La produzione zootecnica, infatti, si basa sull’accaparramento di enormi spazi da destinare da un lato al pascolo estensivo e dall’altro alla produzione degli alimenti per l’industria di mangimi per la zootecnia. A tutt’oggi, l’area occupata da pascoli è il 26% della superficie totale terrestre e quella agricola dedicata alla produzione di alimenti per la zootecnia assomma a 33% dell’area totale di terreni arabili (Steinfeld et al., 2006). Osservando lo scenario 1950/2050, le superfici di terreno arabili (da destinare all’agricoltura) mostrano una progressione inversamente proporzionale. Secondo le analisi di Technavio (2015) al crescere della popolazione, infatti, diminuisce la superficie di terre arabili, passando da 0,52 ha/persona negli anni 50 (popolazione mondiale di 2,3 miliardi) a 0,2 ha/persona nel 2050 (popolazione stimata a 9,5 miliardi). Alla necessità di avere superfici arabili sempre di maggiore estensione al momento si è risposto con l’unica scelta possibile, e cioè con la deforestazione progressiva, al fine di incrementare la capacità produttiva di alimenti zootecnici e di spazio per l’allevamento estensivo.

Da un punto di vista generale, i gas serra (GHG) sono sostanze normalmente presenti in atmosfera che esplicano l’importante ruolo di trattenere il calore sulla superficie terrestre. Senza un quantitativo naturale di gas serra il pianeta sarebbe semplicemente inabitabile, facendo scendere la temperatura a un livello incompatibile con la vita. Quello che sta succedendo, invece, è che i gas serra – grazie a tutte le attività antropogeniche (legate cioè all’intervento dell’uomo) - sono aumentati a dismisura, con una esacerbazione della loro caratteristica principale, quella di trattenere calore (il cosiddetto GWP, Global Warming Potential).

In linea generale, tre sono i gas effetto serra (GHG) più importanti per i quali l’allevamento zootecnico può essere chiamato in causa, e cioè l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), e il protossido di azoto (NO2). Globalmente, il settore zootecnico produce il 18% di emissioni di GHG misurate in CO2 equivalenti. L’anidride carbonica è il maggior responsabile dell’effetto serra. Viene assorbita dalle piante e dall’acqua degli oceani, che in caso di riscaldamento (come sta avvenendo) la restituiscono all’atmosfera, annullando così la loro capacità di sequestro della CO2. Il metano è in costante aumento in ambiente, ed ha un GWP enormemente più alto dell’anidride carbonica. Il metano deriva dalla degradazione del materiale organico. Il protossido di azoto, anche se meno presente dell’anidride carbonica in ambiente, è l’elemento che molto più degli altri ha capacità di trattenere calore. È’ cresciuto a dismisura se si confronta con i livelli della fase preindustriale.

La deforestazione, assieme ad altri elementi che vedremo a breve, è uno dei fenomeni più preoccupanti ad avere un impatto diretto sull’accumulo di anidride carbonica in atmosfera. Infatti le foreste sequestrano la CO2 dall’ambiente e grazie alla fotosintesi clorofilliana la trasformano in ossigeno. E’ chiaro che in questo processo la perdita di foreste comporta un maggiore quantitativo di CO2 disponibile che andrà in atmosfera.




Il fenomeno della deforestazione ha assunto recentemente dimensioni eccezionali in Amazzonia, dove il tasso di deforestazione è raddoppiato rispetto al 2018, raggiungendo la cifra record di circa 6,550 km2 di foresta abbattuta per far posto a coltivazioni di soia e allevamenti. Il fenomeno della deforestazione legata allo sviluppo di produzione di alimenti per la zootecnia e per l’allevamento estensivo causa il 9% delle emissioni antropogeniche di anidride carbonica.


La variabilità delle emissioni nelle diverse tipologie di allevamento riflette la differenze nelle pratiche di allevamento, che possono essere rese più efficienti tramite miglioramento nella produzione mangimistica e dei fertilizzanti.

Un accenno ulteriore merita l’azoto che come già detto contribuisce ad aumentare i gas serra tramite la produzione di protossido di azoto. Va sottolineato che il ciclo dell’azoto vede responsabilità che non sono solo ed esclusivamente da ascriversi al comparto zootecnico, ma anche a quello più tipicamente industriale e civile (riscaldamenti). Il comparto agro-zootecnico, comunque, partecipa con svariate fonti alla produzione di nitrati. Una consiste nell’utilizzo di fertilizzanti in agricoltura, con la produzione diretta di N2O e conseguente trasformazione in protossido di azoto. Una seconda consiste nella produzione di mangimi per la zootecnia. Queste componenti si disperdono in ambiente (aria, acqua, e suolo) e contribuiscono all’acidificazione, eutroficazione, perdita della biodiversità e infine all’ulteriore emissione in atmosfera di gas serra (Leip, 2015).

In linea generale, l’intero settore zootecnico emette il 37% di metano antropogenico (che è contraddistinto da un GWP 23 volte superiore alla CO2) soprattutto grazie alla fermentazione ruminale; emette il 65% di protossido di azoto (contraddistinto da un GWP 296 volte maggiore superiore della CO2) gran parte grazie alla produzione di letame. L’allevamento, infine, è responsabile dei due terzi di emissioni di ammoniaca antropogenica, che come già accennato contribuisce al fenomeno della pioggia acida e acidificazione degli ecosistemi.

Anche la produzione e trasporto degli alimenti destinati alla zootecnia è responsabile di gran parte dell’impatto ambientale. Recenti studi basati sul Life Cycle Assessment (metodica che consente di valutare il l’impatto del singolo step in una filiera di produzione) mostrano come la componente produzione e trasporto sia non solo responsabile di circa la metà dell’impatto ambientale ma contribuisca maggiormente alle categorie di impatto LCA come il climate change e l’acidificazione (Guerci, 2013).

Ovviamente non tutte le specie animali sono ugualmente responsabili dell’impatto ambientale, posto che da un punto di vista fisiologico/biochimico parliamo di specie contraddistinte da meccanismi digestivi completamente diversi. Da un lato abbiamo infatti i ruminanti con la loro necessità di fermentazione ruminale che smantella la dieta in composti più semplici, dall’altro i monogastrici (suini, polli, etc.) che hanno una più alta capacità di conversione dell’alimento. Questo comporta, per i monogastrici, una minore intensità di emissioni, ma soprattutto una diversa tipologia di gas serra emessi.

I ruminanti producono un enorme quantitativo di metano proveniente dalla fermentazione ruminale, e anche la produzione di anidride carbonica e protossido d’azoto sono senz’altro maggiori che non nei monogastrici. Si stima (GLEAM2) che nell’allevamento di ruminanti la produzione di metano rappresenti la maggioranza dei gas serra prodotti (55%) per la sola fermentazione, mentre nelle altre specie la produzione di metano si attesta intorno al 17%. Come già detto, il metano, a differenza degli altri gas serra, ha una GWT (e cioè una capacità di trattenere il calore) 30 volte superiore a quello della CO2

L’impatto ambientale degli allevamenti zootecnici è stato stimato in milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Per ragioni esposte in precedenza (in particolare il diverso comportamento fisiologico delle specie) i ruminanti sono i maggiori contributori alla produzione dei gas serra, con valori tra 2,5 e 3 Gigatonnellate (Gt) di GHG prodotti (Gerber, 2013 e FAO). Seguono l’allevamento di mucche da latte (1,6/2 Gt), maiali (0,6/0.8 Gt), bufali (0,2/0,6 Gt), pollame (0,5/0,6 Gt), piccoli ruminanti (0,4 Gt). Ma è interessante osservare l’impatto non solo in termini di GHG totali prodotti dallo specifico allevamento, ma anche i GHG prodotti per kg di proteina, posto che si sta analizzando un sistema di produzione di alimenti. Ebbene, anche in questo caso l’allevamento di ruminanti (bovini) è quello più impattante.



Volendo osservare la condizione da un punto di vista globale – in termini di Gt di CO2 equivalenti prodotti a livello planetario, ci si rende conto immediatamente che le emissioni si collocano in particolare nei paesi dove la densità animale è molto alta (FAO, 2019. Five practical actions towards low-carbon livestock). E questo riguarda non solo i paesi ad elevato income, ma anche quelli a income più contenuto.

Pertanto, già questi dati allarmanti pongono un interrogativo d’obbligo, e cioè se un impatto del genere può essere sopportato da un pianeta che già ha oltrepassato la capacità massima di assorbimento dei vari inquinanti ambientali. E’ ovvio che in una situazione di possibile aumento dei gas serra per l’aumento di produzione di alimenti, la ricerca di alternative è un aspetto da considerare in modo prioritario.





Il contributo dell’allevamento zootecnico all’aumento di produzione dei gas serra è uno degli elementi che vanno tenuti in considerazione nella valutazione del peso della zootecnia sul Pianeta, ma certo non il solo. Altro aspetto ugualmente preoccupante è quello del consumo di acqua disponibile, in un pianeta dove, secondo la FAO, due terzi della popolazione mondiale vivrà entro il 2050 in aree con scarsità di acqua.

L’allevamento zootecnico usa l’8% dell’acqua totale disponibile per la necessità di irrigazione di colture per la zootecnia, contribuendo all’inquinamento delle falde idriche tramite residui dei trattamenti, fertilizzanti e pesticidi. Oltre a questo, un gran quantitativo di acqua è utilizzato nelle industrie di produzione di mangimi e in quelle per la trasformazione dei prodotti.

In linea generale, l’impatto complessivo dell’allevamento zootecnico sul consumo di acqua (Water Footprint) sale dalla produzione di carne di pollo (4,300 m3/ton), a quella di capra (5,500 m3/ton), alla carne suina (6,000 m3/ton) e di pecora (10,400 m3/ton) e di bovino (15,400 m3/ ton).(Mekonnen et al., 2012)

Come già riportato, pertanto, il consumo di acqua è estremamente rilevante nel caso dei ruminanti. Il Water footprint osservato nel caso della produzione vegetale è decisamente inferiore Ad esempio, in generale i vegetali hanno un water footprint di 322 m3/tonnellata prodotta, la frutta di poco meno di 1000 m3/ton, i cereali 1644 m3/ton. Ma è tutt’altro rispetto ai valori di water footprint citati in precedenza. Vale la pena rilevare, inoltre, che anche da un punto di vista di proteine prodotte gli alimenti di origine animale escono perdenti dal confronto con le proteine vegetali, dato che gran parte di esse offrono un quantitativo proteico per kg molto interessante. Secondo alcuni autori (Mekonnen et al. 2012), tanto per fare un esempio, la produzione di cereali comporta un water footprint di 1644 m3/ton a fronte di una capacità calorica di 3208 Kcal/kg di prodotto, mentre la carne bovina ha un water foot print di oltre 15000 m3/tonnellata ma con una capacità calorica di 1513 Kcal/kg di prodotto, in sintesi un valore molto elevato di water footprint per produrre proteine che hanno un valore calorico più basso dei cereali.

Certamente molto su queste differenze gioca la capacità di conversione degli alimenti delle singole specie animali. Sicuramente il bovino è quello meno efficiente di tutti – richiedendo otto volte un maggiore quantitativo di alimento per kg di carne prodotta se confrontato alla carne di maiale, e 11 volte di più se confrontato con la produzione di carne di pollame. Ci sono anche altre differenze da tenere in considerazione, quali al presenza maggior o minore di concentrati negli alimenti destinati alle single specie (che di solito hanno un water footprint più alto), così come anche la tipologia di allevamento (il pascolo estensivo non industriale nella sua inefficienza di utilizzo di materia prima è più dispendioso anche per il water footprint, mentre andando verso allevamenti industriale questo parametro si abbassa)

Pertanto, già da questi accenni elementari si comprende facilmente come l’approccio seguito sino ad oggi nella gestione della produzione delle proteine di origine animale rischia fortemente l’incompatibilità con l’attuale situazione ambientale, sempre più minacciata dall’aumento di produzione di gas serra e di scarsità di risorse idriche. E quindi la domanda di aumento della produzione per soddisfare le esigenze di un Pianeta in crescita pone seri interrogativi di fattibilità.

Alcune ipotesi di revisione del sistema produttivo possono, però, essere ipotizzate e molte organizzazioni internazionali stanno lavorando per individuare alternative percorribili . Uno dei punti principali da cui partire è l’estrema variabilità della tipologia produttiva del pianeta, che ancora oggi conta su produzioni estensive molto consistenti garantite grazie a operazioni di deforestazione massiccia per dare spazio a pascoli e a produzione di alimenti per la zootecnia.

La variabilità delle emissioni nelle diverse tipologie di allevamento riflette la differenze nelle pratiche di allevamento, che possono essere rese più efficienti tramite miglioramento nella produzione mangimistica e dei fertilizzanti. Vale la pena sottolineare che la maggiore efficienza ottenuta nei sistemi di produzione zootecnica industriale può consentire una migliore gestione dei consumi idrici e di riduzione dei gas serra, come dimostrano molti degli studi della FAO

Un altro elemento da considerare, all’interno di ogni riflessione sulla aumentata necessità alimentare per un mondo che sta crescendo, è quello che i sistemi di produzione degli alimenti debbono garantire l’assenza di sprechi – soprattutto in caso di carenza alimentare quantitativa, come oggi. Al momento, un terzo degli alimenti prodotti vengono eliminati lungo la la catena di produzione e distribuzione, e questo è - nelle condizioni attuali – un vero e proprio paradosso, dato che parte dei scarti intermedi ottenuti nei vari step dei processi produttivi possono essere considerati materie prime per altre produzioni. In questo senso la Circular Economy sta gettando le basi per una nuova impostazione di produzione e di valorizzazione di quei prodotti intermedi che ora aumentano il volume degli scarti alimentari, con tutte le esigenze gestionali (conferimento in discarica) che si possono facilmente immaginare.

Come già accennato, l’agricoltura è la maggiore responsabile della deforestazione con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di incapacità di assorbimento dei volumi di CO2 richiesti, e non solo. Alcuni studi recenti (in particolare, Prevedello et al., 2017) hanno dimostrato come la deforestazione abbia provocato un deciso aumento delle temperature osservate, mentre una riforestazione abbia contributo a un parziale ripristino delle temperature standard. I gravissimi episodi di incendi incontrollati ed incontrollabili in Brasile e Tailandia di questi ultimi mesi, ed il sempre più imponente fenomeno del land grabbing in atto in molte parti del pianeta sono una testimonianza dell’intensità de processo in corso, che va fermato a tutti i costi.





Un altro degli elementi chiave, comunque, restano le abitudini alimentari che la popolazione (soprattutto del mondo sviluppato e benestante) ha assunto nel tempo. Se si osservano le statistiche dei maggiori organismi internazionali, emerge chiaramente una contraddizione.

Da un lato, infatti, si è arrivati da tempo all’indicazione scientifica di stimare in 400-450 gr a settimana (WCRF/AICR, 2007) il consumo massimo di proteine animali, in particolare carne. Questa indicazione ha la logica di limitare l’uso di questa fronte proteica sia per garantire una necessaria varietà e sia per prevenire conseguenze sanitarie negative dovute all’eccesso di consumo di carne e derivati (in particolare la prevenzione di alcuni tumori del colon e del retto).

Per contro, i consumi di carne sono gli unici ad essere aumentati progressivamente ben oltre le soglie indicate, il che dimostra l’assenza o l’incapacità degli attuali sistemi di educazione alimentare nel riuscire ad operare le necessarie inversioni di tendenza.





Secondo le stime, infatti, il consumo medio annuale mondiale a persona sia aggira intorno ai 40 kg/anno/ pro capite. Ma questo è il valore medio mondiale che tiene in considerazione paesi con elevato income e paesi che non godono di queste condizioni. In Italia, ad esempio, seguendo le indicazioni WCRF/AICR non si dovrebbe consumare più di 20/21 kg pro capite/anno, mentre negli anni siamo rapidamente arrivati d oltrepassare gli 80 kg/anno/pro capite. Questo è un fatto riscontrabile in moltissimi paesi industrializzati dove l’aumento dell’income favorisce i consumi di carne, mentre quelli di pesce e vegetali restano pressoché invariati.

Da questi brevi accenni, che non possono essere certo esaustivi, già si comprende come le misure da attuare siamo molto articolate, e prevedono non solo interventi di educazione alimentare sistematica nelle scuole, ma anche azioni concertate a livello internazionale ed oltre.


Un elemento, però, è chiaro. Senza una coscienza ed una conoscenza di quello che sta accadendo e quello che potrebbe accadere a breve al Pianeta, ci si avvicinerà sempre di più ad una fase di non ritorno.




LA BIBLIOGRAFIA E' DISPONIBILE CLICCANDO QUI.


9 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comentários


bottom of page