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I lunghi silenzi e i moltissimi dubbi sul 5G

Aggiornamento: 16 lug 2020

La maggioranza dell’opinione pubblica ha seguito l’assegnazione dei diritti di uso delle frequenze per il 5G da parte del Ministero dello Sviluppo Economico come una sorta di esercizio routinario del Governo, che con una operazione di cassa ha realizzato la considerevole cifra di oltre 6 miliardi di Euro per le tre frequenze (700 MHz FDD, 3.700 MHz e 26 GHz) che saranno versati dai maggiori operatori di telefonia mobile che operano sul territorio italiano.



Poca riflessione ha avuto luogo, invece, su cosa l’implementazione di questa tecnologia avrebbe comportato per la vita di tutti noi, dato che parliamo di un sistema di comunicazioni completamente nuovo, e il cui impatto sulla vita dei cittadini e sul loro futuro è dirompente.



Le onde elettromagnetiche vengono descritte, in genere, in base alla lunghezza d’onda e alla frequenza (Hz) – valori che sono tra loro correlati: maggiore è la frequenza, minore è la lunghezza d’onda e più elevata è l’energia trasmessa, pertanto quelle negli ordini dei Mega o GigaHerz (GHz) trasportano molta energia.

L’evoluzione delle frequenze della telefonia mobile è stata motivata dalla necessità di rispondere a esigenze sempre più ampie: passaggio dalla rete 2G con tecnologia finalizzata alle comunicazioni vocali e messaggi scritti (900 Mhz) a quella 3 poi 4G finalizzata alla trasmissioni di immagini (fino a 2600 MHz). La rete 5G utilizzerà onde con frequenze fino a 27,5 GHz (più di 10 volte quelle attuali).

Questo nuovo standard per la comunicazione mobile, ideato per collegare ad alta velocità e con una latenza ridottissima oggetti e persone in un’unica rete, ha lo scopo di creare l’interconnessione tra dispositivi (machine to machine, M2M), elemento basilare per la messa in opera dell’Internet of Things (IoT), dove tutti i possibili device che ci circondano sono collegati tra loro. Utilizza, come specificato nel bando di gara, le bande di frequenza 700 MHz, 3,7 GHz (entrambe definite onde centimetriche) e 26 GHz (onde millimetriche) che si aggiungeranno a quelle attualmente in uso.

Come si diceva in apertura, le caratteristiche tecniche di questa rete ci fanno capire che non siamo in presenza di una evoluzione delle precedenti reti ma si tratta di ben altro. La nuova rete comporterà una esposizione di tutti gli esseri viventi a livelli di radiofrequenze mai sperimentate prima e ciò, oltre che effetti biologici sull’uomo (effetto termico sui tessuti vivi ma anche biologico, come stress ossidativo mitocondriale e danno cellulare) può avere effetti importanti sugli animali che utilizzano i campi magnetici per l’orientamento, per non parlare delle misurazioni delle emissioni di microonde naturali dalla terra usate per le previsioni metereologiche. Le normative di legge prendono in considerazione solo gli effetti termici in seguito ad esposizioni acute e non le modificazioni biologiche connesse ad esposizioni croniche.

L’obiettivo più generale di una massiccia implementazione del 5G è quello della creazione di una infrastruttura dove poter utilizzare una serie di servizi innovativi: automobili che si guidano da sole,

localizzazione in caso di emergenza, controllo del traffico da remoto, indumenti dotati di sensori che rilevano i dati biologici e avvertono in caso di anomalie, fino al controllo delle persone mediante riconoscimento facciale. In ambito medico, si pensa a un ampliamento della telemedicina con possibilità di interventi chirurgici da remoto, mentre in agricoltura si può ipotizzare una maggiore automazione nelle coltivazioni agricole anche con l’uso di droni che valutano le necessarie operazioni da eseguire.



Ma cosa implica, di preciso, l’attuazione di un progetto di questa portata? Uno degli aspetti che maggiormente si ignorano o si sottovalutano è che il 5G è un sistema di telecomunicazioni completamente diverso da quelli che lo hanno preceduto. Minimizzeremmo le sue caratteristiche dicendo che alla fine è solo un altro sistema per far viaggiare traffico dati e voce. Non è così, dato che le modalità con cui opera sono estremamente diverse, il che pone – tra le altre cose - anche interrogativi sulla capacità e know-how delle autorità di controllo.

L’aspetto più rilevante risiede certamente nelle modalità di funzionamento. Il 5G, infatti, non lavora più come nel passato su una zona di distribuzione del segnale ma in pratica riesce a seguire l’utilizzatore finale (modalità “user-centric”) con una fascio che si sposta a seconda degli utilizzatori esistenti in zona. Questa nuova ed originale impostazione la si ottiene implementando la tecnologia “Massive MiMo” - una soluzione che era già stata sperimentata in formato molto più contenuto nel 4G - che prevede un elevatissimo quantitativo di antenne trasmittenti che riescono a modellare il fascio, dandogli la forma e la direzione più efficace per un corretto funzionamento. Questa tecnica, anche definita beamforming, è una delle scelte tecniche di base che differenziano il 5G dalle altri reti esistenti, e che riesce a indirizzare la potenza solo dove realmente serve.Questo comporterà la necessità di ridurre il più possibile gli ostacoli, inclusi gli alberi (con conseguenti abbattimenti), per garantire una trasmissione del segnale ottimale. E sarà necessario installare, peraltro, numerosissime piccole antenne, per raggiungere quello che per l’AGIVCOM è la densità attesa quando la rete sarà a regime: un milione di dispositivi connessi per km2.




Da un punto di vista di impatto sula salute, è bene richiamare alcuni aspetti importanti. In particolare, lo status quo degli standard internazionali rilevantie le ricerche scientifiche che moltissimi ricercatori hanno pubblicato nelle riviste del settore.

Per quanto attiene agli standard, la radiazione a radiofrequenza (RF) nella gamma di frequenza compresa tra 30 kHz e 300 GHz è classificata come "possibile" sostanza cancerogena per l'uomo, Gruppo 2B, dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) dal 2013, sulla base di una valutazione del 2011. Ma va sottolineato da subito che lo IARC ha classificato le RF in classe 2B su studi fatti nel passato, aspetto che infatti ha giustificato la decisione dell’Advisory Group dello IARC di impegnarsi in una profonda revisione dell’opinione.

Per la precisione, lo IARC sottolinea che per quanto riguarda il cancro negli esseri umani esiste una limitata dimostrazione di carcinogenicità delle radiazioni RF, e che associazioni positive sono state osservate tra l’esposizione a radiazioni RF di cellulari e glioma e neuroma acustico. Per quantoriguarda la carcinogenicità negli animali da esperimento, lo IARC conclude con una limitata dimostrazione di carcinogenicità delle radiazioni da RF.

A seguito della classificazione IARC, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), di cui la IARC fa parte, si è espressa in favore di ulteriori ed urgenti ricerche giustificate dal crescente utilizzo dei telefoni cellulari e dalla carenza di dati relativi a durate d’uso superiori ai 15 anni.

E in realtà, molti ricercatori già considerano la classificazione IARC inappropriata, e il mondo scientifico sta spingendo per una riclassificazione che veda la collocazione nella categoria di rischio nel gruppo 1 (sufficienti evidenze di cancerogenicità negli esseri umani) o almeno 2A (limitate evidenze di cancerogenicità negli esseri umani, ma sufficienti evidenze negli animali di laboratorio).





Non bisogna dimenticare che il possibile effetto nocivo del 5G, a prescindere dal livello, non costituirebbe un fattore di rischio univoco, ma si andrebbe a sommare ad una serie di elementi dannosi per la salute dell’uomo e dell’ambiente, purtroppo già di fatto presenti nella nostra quotidianità; aumentando il fattore di rischio a livello esponenziale. Per fare un semplice esempio: molti studi evidenziano come le onde millimetriche vengano facilmente schermate. Anche la pelle può parzialmente proteggerci dal queste RF. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il nostro apparato tegumentario (pelle e annessi) è già sottoposto ad una costante serie di attacchi batterici e chimici o provenienti dalle radiazioni solari, come i raggi Ultravioletti. Tutti questi fattori, concatenati tra loro, aumentano notevolmente i rischi per la nostra salute. Le onde millimetriche andrebbero quindi a sommarsi a questi fattori di rischio esistenti.

Nonostante ciò, le radiazioni a microonde si stanno espandendo con l'aumentare dell'esposizione personale e ambientale. Un fattore che contribuisce è che la maggior parte dei paesi si affida alle linee guida formulate dalla Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP), un'organizzazione non governativa tedesca privata, che si basano solo sulla valutazione degli effetti termici (di riscaldamento) delle radiazioni RF. Questo esclude un ampio corpus di scienza pubblicata che dimostra gli effetti dannosi causati dalle radiazioni non termiche.

Le evidenze scientifiche a disposizione descrivono rischi biologici comuni alle esposizioni a tutte le radiofrequenze (indipendenti dal possibile ed eventuale rischio di cancro) ed effetti specifici per le onde millimetriche. Per le onde millimetriche, in particolare, fino ad oggi non sono disponibili molti studi scientifici – in particolare riguardanti gli effetti di lunga durata, quelli più importanti - ma le evidenze di cui già si dispone meritano un richiamo alla prudenza, e sicuramente approfondimenti.

Ed è questo uno dei paradossi esistenti: a fronte dell’avanzata dei colossi della telecomunicazione che intendono implementare il 5G, non sono state condotte indagini complete o che possano completamente escludere i potenziali rischi per la salute umana e per l'ambiente.

Gli studi disponibili, comunque, pur nella loro limitatezza, hanno evidenziato la capacità delle onde millimetriche di stimolare la proliferazione cellulare, di alterare alcuni meccanismi funzionali delle cellule, di alterare l’espressione genica, di indurre aneuploidia (variazione nel numero dei cromosomi normalmente presenti) e alterazioni cromosomiche.

Così come per l’uomo, anche per gli effetti sulla fauna non esiste al momento una univocità di vedute del mondo scientifico, che pur ammettendo l’effetto termico caratteristico delle frequenze di lavoro, si divide tra effetti (impatti) sicuramente osservati e che danneggiano molte capacità degli animali selvatici (pensiamo solo alle api, solo per fare un esempio, con un dimostrato sconvolgimento del sistema di comunicazione interno all’alveare che regola le sciamature e la regolazione di temperatura dell’alveare) ed altri che hanno rilevato, sì, effetti, ma non conclusivi. I risultati di questi ultimi, c’è da dire, appaiono più motivati dall’inappropriato disegno degli studi scientifici in sé, piuttosto che da una dimostrazione dell’assenza di danni. In ogni caso, anche per quanto riguarda l’impatto sul mondo selvatico i risultati suggeriscono un atteggiamento molto prudente, anche perché molti degli studi sono stati orientati verso effetti nel breve termine, mentre purtroppo non c’è nessuno studio (come nel caso dell’impatto sulla salute umana) che possa quantificare il danno per effetti a lungotermine.

Quindi una prima conclusione che possiamo trarre dall’esame delle pubblicazioni scientifiche del settore è che mancano dati di esposizione a lungo termine per una tecnologia così recente. E non si possono estrapolare i dati su cui si basano le indicazioni IARC in quanto la tecnologia è, come detto, nuova e completamente diversa. A ciò si deve aggiungere che le linee guida ICNIRP non riportano valori di riferimento oltre i 10 Ghz, ma solo i valori di restrizione base. In tutto ciò, inoltre, bisogna considerare l’importanza degli studi esaustivi sugli impatti a lunga durata proprio per tutelare chi – come i giovani e giovanissimi – fanno un uso sempre più precoce ed accentuato dei device, e sono maggiormente esposti agli effetti delle esposizioni continuati nel tempo. O per tutelare anche altre categorie protette, come

donne in gravidanza e persone anziane - sulla salute delle quali nessun aspetto è stato completamente affrontato e analizzato nel dettaglio.

Ad aggravare ancora di più l’assenza di dimostrazione di non pericolosità interviene, inoltre, anche la richiesta (da parte dei maggiori operatori della telefonia che si sono aggiudicati all’asta le prime frequenze utili) di aumentare il limite delle esposizioni ai campi elettromagnetici dai 6V/m come attualmente previsto dalla legislazione nazionale a 61V/m. Se dovesse passare questo aumento del limite – a valori di oltre 10 volte superiori agli attuali - quali rischi ulteriori potrebbe portare per l’esposizione alle RF? L’unica conclusione certa è che a questo punto ci troveremmo in una condizione davvero di non poter più fare riferimento a esperienze scientifiche che spesso hanno valutato l’impatto di RF con una esposizione coerente ai limiti di legge, e che comunque – anche con quei valori - hanno già espresso posizioni preoccupanti per l’impatto sulla salute.

Esiste un altro interrogativo allarmante. Abbiamo già accennato in apertura alla estrema differenza di funzionamento del 5G, un aspetto importante non solo da un punto di vista di impatto sulla salute, ma anche di capacità delle autorità competenti a far fronte alle esigenze di verifica pre e post installazione delle antenne di trasmissione.

Difatti, come già detto, non siamo più di fronte ad un’area in cui operare una quantificazione del campo di trasmissione, ma ad un campo variabile in funzione degli utenti finali. E questo, purtroppo, è solo uno degli aspetti da considerare. Vale la pena ricordare che un altro degli elementi da valutare – in parallelo alla verifica del campo EMC prodotto dalle antenne di trasmissione, è l’analogo campo prodotto dai device (smartphone). Al momento, infatti, non esistono mezzi (esposimetro o modelli di simulazione) in grado di darci una stima dell’esposizione dei device a stretto contatto con il corpo. Infatti, l’esposizione alle RF durante l’utilizzo del telefono è estremamente localizzata e la quantificazione estremamente difficile. C’è da chiedersi se, davanti a questa nuove modalità di funzionamento e di fronte anche ad una insufficiente parallelo sviluppo degli standard internazionali di controllo come sarà possibile che le ARPA (autorità di controllo per il settore) possano far fede alloro mandato istituzionale, sia da un punto di vista di autorizzazione agli impianti che di verifica routinaria della conformità del funzionamento.

C’è una domanda, inoltre, a cui dobbiamo rispondere proprio tenendo in considerazione l’impatto sulla salute e le difficoltà operative delle autorità di controllo: il 5G è un bisogno reale?

L’impressione che si ricava, infatti, ascoltando le voci dell’industria delle telecomunicazioni, è che si stia portando avanti una vera e propria azione commerciale con l’obiettivo di creare nuovi bisogni, piuttosto che fornire soluzioni a necessità pre-esistenti. E’ vero, la tecnologia 5G potrebbe mettere in condizioni il mondo di funzionare in modo diverso. Ce lo hanno illustrato mille volte, grazie a scenari fantascientifici di veicoli senza guidatore, di operazioni chirurgiche effettuate a migliaia di chilometri di distanza, di una sofisticata domotica, della possibilità della comunicazione tra macchine piuttosto che tra utenti e device, ed infine della possibilità di riconoscimento facciale a distanza.

La valutazione che ci sentiamo di fare, soprattutto nelle vesti di normali cittadini, è: perché di questa rivoluzione tecnologica non si è parlato diffusamente, e non se ne parla se non nelle riviste specializzate? Perché un Governo pensa di bandire una gara da oltre 6 miliardi di euro per una rete di nuova generazione senza sentire l’obbligo di dover spiegare ai cittadini dove si sta decidendo di andare e perché? Se è davvero una tecnologia ad esclusivo vantaggio del cittadino, perché non sono stati compiuti approfonditi studi su eventuali effetti collaterali, offrendoci prove scientifiche ineluttabili circa la sua effettiva inoffensività?

Vogliamo solo ricordare un aspetto, che riteniamo fondamentale: il principio di precauzione, e cioè la necessità di assicurare una condotta cautelativa nei meccanismi decisionali politico/economici in caso di questioni scientificamente controverse. Questo è un principio oramai consolidato a livello internazionale: la dichiarazione di Rio, la Convenzione sulla diversità biologica, il Trattato sul funzionamento della Unione

Europea, l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS) e l'Accordo sugli ostacoli tecnici al commercio (TBT) dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Anche a livello italiano, il principio di precauzione è sancito dalla Legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) al suo art. 1b). Le finalità di questa legge sono quelle, infatti, di “promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all'articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell'Unione Europea”.

Anche la nostra Costituzione, al suo art. 32, ribadisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività…”. Come sia possibile tutelare la salute senza tenere in considerazione il principio di precauzione (per gli aspetti scientifici controversi ed insufficienti elencati sino a qui) è qualcosa che il Governo deve spiegare agli italiani.

Non si ritiene comprensibile, infatti, la decisione di mandare in gara l’assegnazione delle frequenze da un lato, e accantonare il rispetto del principio di precauzione, dall’altro. La precauzione, tra le altre cose, è proprio il principio che è stato seguito per una recentissima interrogazione scritta al Parlamento Europeo che chiede alla Commissione Europea – parliamo di febbraio u.s., e non di molto tempo fa –quale sia la sua valutazione sui rischi del 5G per i paesi membri UE data la carenza di studi in ambiente naturale e se non sia invece il caso di lanciare studi in condizioni di vita reale per la valutazione dell’impatto su persone e animali. (E001204/2020 del 28 Febbraio 2020, MEP Pascal Arimont).



Una situazione di questo genere, fatta di dubbi scientifici, problemi applicativi, prudenza nell’adottare scelte importanti potrebbe, al limite, essere accettata a fronte di una scelta di sviluppo reale di un Paese. Ma stiamo parlando davvero di servizi essenziali? E di sviluppo reale? Davvero non possiamo fare a meno di accelerare uno “sviluppo” fatto da una invasione tecnologica di questa portata? Infine, considerando il fatto che con il termine sviluppo si sottintende un miglioramento della qualità della vita, siamo davvero sicuri che questa nuova tecnologia sia capace di farlo?

E questo lo diciamo perché il 5G rappresenta solo la prima fase, dopodiché sarà necessario costruire tutto ciò che sarà servito dal 5G: macchine, autostrade, sistemi complessi per la chirurgia, mille ritrovati per la domotica, e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare della popolazione degli attuali telefoni, che dovrà essere rinnovata per gestire adeguatamente questa nuova tecnologia, dato che pochi modelli oggi sul mercato possono funzionare con il 5G, con la conseguente necessità di smaltimento dei device incompatibili. Un cenno a parte lo merita il riconoscimento facciale, che già nel mondo scientifico ha stimolato discussioni sulla liceità di interventi di acquisizioni di massa, potendosi trasformare in uno strumento particolarmente invadente. Non dimentichiamoci che i dati biometrici (a cui il viso appartiene) sono dati personali, per il quale esiste la necessità di richiedere il consenso informato del titolare. Fino a prova contraria, i dati non sono resi disponibili di default. Il che ci porta ad uno dei punti sostanziali ancora tutti da chiarire relativi all’implementazione del 5G: se questa rete è un’autostrada su cui far correre inimmaginabili volumi di dati (la maggior parte dei quali personali), che valutazione è stata fatta rispetto alla tutela della privacy dei singoli? Su questo fronte, come su molti altri aspetti, come si vede, c’è ancora molto da riflettere.

Quindi il 5G, come si diceva prima, è solo il mezzo per arrivare ad una produzione di massa di tutta una serie di sistemi (IoT) che questa nuova rete andrà ad alimentare e senza il quale non potranno vedere la luce.

Pertanto, da un lato abbiamo un futuro di cui sinceramente possiamo fare a meno – fatto di macchine che gestiscono la nostra vita e di flussi di dati sempre più importanti che le fanno comunicare tra loro – e dall’altro la necessità, invece, di fermarsi e riflettere per capire se quello che già abbiamo ottenuto in termini di scelte tecnologiche del settore, non sia più che sufficiente e che sia necessaria, invece, una

pausa. Per capire davvero dove vogliamo andare, se verso quel futuro dove il 5G con annessi e connessi ci vuole portare, oppure no.

Certo, questo potrebbe apparire un interrogativo di tipo più esistenziale che tecnico, ma non è così. Parliamo dello stesso motivo che ci spinge, ad esempio, a riflettere sulla necessità di continuare a produrre carne da animali di allevamento, con la conseguente necessità di deforestazione e di enormi consumi di acqua. Anche quella scelta produttiva, al tempo, era stata presentata e perseguita come una forma di progresso, di sviluppo. Per poi, dopo anni, rendersi conto del suo grave impatto ambientale. Un altro esempio è rappresentato dai CFC (Cloro Fluoro Carburi) e dai danni che gli stessi hanno provocato allo strato di ozono, assottigliandolo e limitando la sua efficacia di schermo contro i raggi ultravioletti, aumentando così i rischi per la salute dell’uomo. Questi esempi rendono palese il fatto che non prendere in considerazione il principio di precauzione, è seriamente un rischio che non possiamo più permetterci di correre.

Ecco, dovremmo cercare di fare tesoro di tutte quelle scelte di politica industriale che dopo molto tempo si sono rivelate controproducenti per lo stato di salute del nostro pianeta.

Il mondo che vogliamo non è fatto dalla necessità di ridurre al minimo la “latenza della risposta” di un sistema (aspetto cruciale del 5G), ma di cercare di risolvere le diseguaglianze, di ritornare a essere parte della Natura e promuovere uno sviluppo che sia capace di evolvere con la stessa, piuttosto che sfruttarla. E’ lì che dobbiamo concentrare i nostri sforzi.

Per quanto ci riguarda, riteniamo che non ci siano gli elementi per sostenere una scelta di modifica così sostanziale del sistema di telecomunicazioni. Pertanto, per il richiamato principio di precauzione la nostra posizione è NO al 5G, almeno fino a quando non verranno prodotti studi scientifici di una solidità riconosciuta in grado di dimostrare l’innocuità di questa tecnologia.



LA BIBLIOGRAFIA E' DISPONIBILE CLICCANDO QUI.



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